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Materie prime sempre più costose e insufficienti

Nonostante i positivi segnali di crescita economica rispetto all’anno del lockdown e l’aumento della fiducia, il settore della metalmeccanica vede con preoccupazione la crescita dei prezzi delle materie prime

Nonostante i positivi segnali di crescita economica rispetto all’anno del lockdown e l’aumento della fiducia, il settore della metalmeccanica vede con preoccupazione la crescita dei prezzi delle materie prime.

E’ Federmeccanica a lanciare l’allarme, evidenziando il problema dell’approvvigionamento delle materie prime, sia in termini di prezzi (aumentati) che nelle quantità disponibili sul mercato.

Situazione, che secondo Federmeccanica, rischia di compromettere la ripresa del settore con la conseguente negativa ricaduta nella fiducia.

Diversi sono i fattori che hanno portato in rialzo i prezzi e le quantità delle forniture.

La catena della fornitura, a livello mondiale, interrota con la pandemia, ha subito un brusco rallentamento, proprio nel momento della ripresa post-Covid19, a causa dell’incidente del canale di Suez che ha impedito, il rifornimento delle materie prime bloccando la catena a livello planetario.

Il Coronavirus, sotto il profilo economico industriale, ha ridotto al minimo le scorte, come dimostra l’attentato hacker alla Colonial Pipeline, che sotto scacco informatico, è stata costretta a fermare il più grande oleodotto americano proprio per la scarsità di scorte compromettendo, a cascata, la corretta funzionalità di altre aziende a lei collegate.

È quindi evidente come sia fragile il sistema delle forniture e come è importante avere a disposizione i magazzini pieni in questa fase di ripresa economica mondiale.

Soprattutto con la Cina che sta ulteriormente crescendo e arricchendo e, con i dazi che non sembrano poter sparire in tempi brevi.

Infatti, sempre per Federmeccanica, l’84% delle imprese risente del rincaro dei prezzi dei metalli e dei semilavorati in metallo, il 60% prevede un aumento dei prezzi di vendita e una riduzione dei margini di profitto, il 54% ha difficoltà di approvvigionamento dei metalli e semilavorati in metallo a causa della loro scarsità e il 14% delle aziende potrebbe interrompere la produzione.

Per l’industria siderurgica, importante settore industriale strategico per Italia, essendo il tredicesimo player globale, il secondo europeo, dopo la Germania, con oltre 33.000 persone addette, in una filiera che parte dalla produzione di acciaio e prima trasformazione, ai centri di servizio, distribuzione, commercio di rottame e ferroleghe, taglio e lavorazione della lamiera, utilizzatori, con ricavi di circa 60 miliardi di euro/anno, la situazione degli approvvigionamenti viene vista con preoccupazione.

Sono molti i gruppi industriali italiani presenti sul territorio nazionale, che vivono la situazione con inquietudine, come Duferco, Arvedi di Cremona, Danieli di Buttrio, Feralpi di Lonato del Garda, le Acciaierie Venete di Padova, Ori-Martin di Brescia, FinMar (Marcegaglia) di Mantova, e altri importanti produttori stranieri, come ArcelorMittal, l’indiana JSW di Piombino, la ThyssenKrupp in Acciai Speciali Terni, che ricordiamo rappresenta il 15% del fatturato industriale umbro.

Tutte le materie prime, interessate dal settore siderurgico, sono da tempo sottopressione.

Infatti l’acciaio, fondamentale per la manifattura, è soggetto alla crisi della reperibilità di materie prime come il minerale di ferro e il rottame.

Questa situazione ha iniziato a verificarsi nel 2020, quando i lockdown imposti dai governi a livello mondiale, hanno ridotto drasticamente la produzione di materie prime, portando, inevitabilmente il loro incremento dei prezzi sul mercato.

Ma non solo, se in Italia, tra marzo e aprile del 2020 la produzione era scesa del 40% prima di riuscire a recuperare in modo straordinario e chiudendo sotto di “solo” il 12% rispetto all’anno precedente, la produzione a livello mondiale di acciaio è rimasta sostanzialmente costante, con la Cina, che rappresenta il 56% della siderurgia mondiale, che ha incrementato, addirittura, la sua produzione del 7% nonostante sia stato il primo paese a venire colpito dal Covid-19.

Inoltre, con l’inizio della ripresa, la Cina ha continuato a crescere in maniera costante dal punto di vista siderurgico registrando, nel primo trimestre un +15%.

Questa condizione ha reso la Cina da Paese esportatore a importatore con un aumento del 144% dell’import e di fatto eliminando dal mercato una quota significativa dell’acciaio presente, che si è ulteriormente aggravata con l’importazione delle materie prime da parte degli Stati Uniti e Turchia.

Se si considera che la tecnica di produzione di acciaio avviene o dal minerale di ferro o dal rottame è ben comprensibile la problematica che si presenta.

Infatti, la produzione siderurgica cinese è per il 90% da minerale di ferro e solo la sua attività fa aumentare a dismisura il costo di approvvigionamento.

L’Italia, con l’80% della sua produzione che viene realizzata tramite forno elettrico con rottame si difende  bene con una crescita nel primo trimestre 2021, del 19% rispetto all’1,7% della Germania.

Ma c’è un altro tema che preoccupa i produttori e riguarda il Green New Deal, che l’Europa sta applicando con una robusta decarbonizzazione della produzione, puntando su altre forme di energia come l’idrogeno.

Una transizione ecologica importante che farà passare la produzione dal ciclo integrale a quello elettrico, ma che farà aumentare la richiesta di rottame e infatti la contro risposta degli Stati concorrenti non si è fatta attendere, con la Cina che ha già messo un dazio del 40% all’esportazione di questa tipologia di materiale siderurgico e lo stesso hanno fatto Russia e Ucraina considerando che l’Europa, attualmente esporta 17 milioni di tonnellate  di rottame ogni anno, possiamo immaginare.

Tuttavia, nonostante le problematiche, le incertezze, l’instabilità dei prezzi l’industria dell’acciaio italiana risponde bene in questo momento, poiché i livelli produttivi sono tornati ai livelli di aprile 2018, se poi lo stabilimento di Taranto, attualmente al minimo della sua capacità produttiva, potesse vedere risolvere i suoi problemi, questo non farebbe altro che dare ancora più slancio a tutta l’industria italiana e all’economia nazionale.

Tanto è vero che, sempre secondo Federmeccanica, il 16% delle imprese è convinta che superata la difficoltà del momento, si tornerà ad assumere per far fronte a ordini e investimenti, ma molte aziende, che hanno iniziato a cercare personale, evidenziano la difficoltà di reperire manodopera specializzata.

Pertanto, in un momento di “rinascita” economica e sociale, deve essere; incentivata la formazione professionalizzante, riformata l’intera struttura del mercato del lavoro, serve incrementare l’efficienza delle politiche attive, favorendo la formazione e la riqualificazione e incentivare l’assunzione di giovani e di donne da parte delle imprese, argomenti che il governo e parti sociali, almeno a parole, sembrano intenzionati ad affrontare…

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