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Pensioni, il sistema italiano, senza una pianificazione industriale non se ne esce…

A volte diventa necessario prendere decisioni difficili e coraggiose...

La pandemia è tutt’altro che finita!

Nella città cinese di Lanzhou il crescente numero di contagi, della variante Delta del Covid-19, impone un nuovo lockdown all’intera sua popolazione.

In Russia, giorno per giorno, si registrano “record su record” di decessi giornalieri; in Romania, Paese con la più bassa percentuale di vaccinazioni, aumentano i contagi mettendo a rischio la tenuta del servizio sanitario.

In Austria si ipotizza un lockdown per i non vaccinati.

Questi sono eventi che ci  riportano alla ribalta l’emergenza sanitaria e il conseguente aggravamento della crisi economica e del mercato del lavoro che sta avendo un enorme impatto, sempre maggiore, sulle persone su scala mondiale.

Infatti, già il crescente aumento delle materie prime, dell’energia elettrica e del gas, legate soprattutto alla veloce ripresa economica mondiale, dopo il lockdown europeo ed extra del 2020, rischiano di invertire la tendenza di crescita economica in una vertiginosa ed inarrestabile decrescita.

La nuova emergenza sanitaria, oltre che aggravare il quadro sociale ed economico, incrementa il senso di incertezza verso il futuro.

Tutto ciò, di riflesso, coinvolge anche argomenti come quello delle pensioni e della loro sostenibilità economica, perché il processo di crescita economica intrapreso dal nostro Paese rischia di interrompersi bruscamente.

Gli italiani, secondo le statistiche, si sentono sempre più insicuri e indifesi nei confronti delle istituzioni che dovrebbero tutelarli e di coloro che dovrebbero difenderli, politica e parti sociali.

Una sfiducia sempre più crescente, visto che;

  • per il 21% si definisce preoccupato della propria capacità di spesa,
  • il 29% manifesta il timore di perdere il proprio lavoro,
  • quasi un italiano su due (il 46%) dichiara come il pensiero di non poter contare su una pensione che lo supporti economicamente nella vecchiaia, rappresenti la sua massima preoccupazione finanziaria.

Quest’ultimo dato, sale al 53% escludendo gli over 55.

Sebbene il PIL italiano sia in crescita nel 2021, si “dovrebbe” consolidare oltre il +6% contribuendo ad abbassare, dopo decenni, il rapporto Debito/Pil nel 2021, previsto al 156,3% (-3.3%), rispetto al 2020, è il debito pubblico la pesante “zavorra” economica, che pone l’Italia al secondo posto, dopo la Grecia (207,2%), come Paese tra i più indebitati d’Europa, a limitare una vera e propria riforma pensionistica.

A questo si deve aggiungere che, da qui al 2030, il crescente invecchiamento della popolazione, potrebbe spingere ad un aumento della spesa pensionistica, con conseguente crescita dell’indebitamento al 5% del PIL, circa 80 miliardi in più, destinati a diventare, si stima, 240 miliardi (15% del PIL) da qui al 2040.

Numeri che lasciano ben poco spazio all’ottimismo ma che dovrebbero essere da stimolo per una vera politica economica e sociale e non una, mera, “tecnocrate” riforma sociale ed economica.

Nel 2039, sebbene sembri lontano, in Italia gli over 64 saranno il 31,6% della popolazione sorpasseranno gli under 35 che rappresenteranno il 31,2%.

Queste percentuali, elaborate dal Censis su dati Istat, proiettano il nostro Paese come uno dei più “vecchi” al mondo e ciò non può stupire se si considera il continuo ed inarrestabile calo delle nascite, a fronte di una speranza di vita che, effetto Covid e future “pandemie” permettendo, continua ad aumentare.

Altro fattore importante è rappresentato dal rapporto numerico tra gli Italiani maggiorenni che hanno un’occupazione e quelli che percepiscono una pensione.

In questo caso, l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa.

Infatti, secondo dati Eurostat, sono peggio di noi solo Croazia, Grecia, Finlandia, Slovenia, Romania e Francia.

I dati, aggiornati al 2018, parlano infatti per l’Italia di un 46,4% di occupati contro un 22,2% di pensionati.

Inutile dire che sono numeri tutt’altro che confortanti, specie se confrontati con il 62,1% di occupati in Estonia e Regno Unito e il 14,3% di pensionati irlandesi, i tre Paesi che occupano le posizioni di vertice di questa particolare classifica.

Pertanto è evidente il fatto che avere il terzo valore più basso di occupati a livello continentale è decisamente un problema, a prescindere dalla percentuale di pensionati. Ecco perché la questione pensionistica deve essere affrontata con piani industriali nazionali di sviluppo elaborati da una “Politica” COMPETENTE, che sappia definire gli obiettivi strategici chiari, misurabili, controllabili, con riscontrabile sostenibilità dei piani che diventano di intenzione e interesse strategico per il sistema Paese.

Il PNRR e tutto il corollario, in termini di risorse economiche, che trascina dietro di se può essere il volano d’innesco di questo processo.

Ma non solo, buoni piani di sviluppo industriale accompagnati da buone riforme, rivolte alle imprese, possono essere utili ad attrarre nuovi investitori.

Questo consentirebbe, grazie allo sviluppo delle imprese e dei mercati, maggiore occupazione innescando un percorso che vada verso un corretto equilibrio tra il numero di lavoratori e di pensionati.

Questa è la vera emergenza, insieme a quella sanitaria, da affrontare, perché, se i i pensionati continuano ad avvicinarsi troppo o addirittura a superare gli occupati, il sistema pensionistico non può che andare in “default”.

Se ci si può consolare, non siamo gli unici ad avere questo problema; Giappone, USA, Australia. La Cina, sebbene abbia più di tempo per organizzarsi, ha una società che sta invecchiando più velocemente di qualunque altra; la Svezia, nonostante vanti di essere un Paese a misura di anziano, ha un crescente numero di ottantenni e ciò comporta un continuo aumento, in termini di pressione, per il bilancio pubblico.

Ma allora siamo proprio certi che basti inserire Quota 100, 102, 104, Opzione Donna o la stessa legge “Fornero” per fare fronte a una situazione come quella sopra descritta?

Stiamo percorrendo la strada giusta affinché il nostro sistema pensionistico italiano sia realmente sostenibile e che le pensioni potranno anche in futuro essere garantite a tutti?

Forse sarebbe opportuno dare un’occhiata al “sistema” Danimarca, considerato uno dei più efficaci e sostenibili al mondo e dove qualcuno potrebbe prendere spunto…

Il sistema pensionistico della Danimarca viene considerato uno dei più efficaci e sostenibili al mondo.

I cittadini danesi possono contare su un sistema pensionistico pubblico di base, con una previdenza complementare parametrata in base al reddito che si compone di 4 schemi pensionistici, con l’obiettivo di assicurare una vecchiaia dignitosa ai cittadini:

1) una pensione finanziata dalle tasse, corrisposta in base agli anni di permanenza in Danimarca;

2) due tipologie di pensione supplementare obbligatoria (regolate dalla legge) per i lavoratori con più di nove ore di lavoro a settimana.

a- La prima (ATP) viene pagata per 2/3 dal datore, mentre 1/3 viene detratto dalla busta paga del lavoratore.

b-La seconda (SP) è invece pagata solo dal lavoratore e rappresenta l’1% della retribuzione;

in sostanza, una similitudine di come già avviene per alcune categorie di lavoratori, come ad esempio per i metalmeccanici con il loro Fondo COMETA.

3) uno schema pensionistico collettivo (AMP) che dipende da contrattazioni a livello settoriale e differisce a seconda che si tratti del settore privato (tra 9-15%, pagati per 2/3 dal datore e 1/3 detratto dalla busta paga) o pubblico (12%, integralmente coperto dallo Stato).

4) fondi pensione privati, a integrazione del sistema pensionistico statale.

Un sistema su cui riflettere perché aumentare l’età pensionabile risulta più una “pezza” utile nel breve termine, ma scontenta un grande numero di lavoratori con conseguenti proteste sindacali. Rendere obbligatorio per i datori di lavoro fornire ai propri dipendenti un piano pensionistico, innescherebbe la loro ira, perché già altamente tartassati, ecco quindi rispuntare la necessità di puntare sulle agevolazioni fiscali e riduzione dei cunei fiscali sul lavoro.

Tuttavia, al di là di come la si pensi, la realtà della situazione ci ricorda che a volte diventa necessario prendere decisioni difficili e coraggiose, attuando riforme anche radicali che possano finire inevitabilmente per scontentare qualcuno.

Sarebbe bello, ma non esiste una formula magica e indolore che risolva nell’immediato la complessa situazione.

Eppure l’urgenza impone che da qualche parte bisogna pur cominciare.

È necessaria oggi un’attenta riflessione sull’intero sistema per garantire la sostenibilità anche nel lungo periodo, limitando il peso sul debito pubblico e la strada è attraverso la pianificazione industriale del Paese assente da oltre 30 anni…

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