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Stretta sui licenziamenti “Social”, ma sarà sufficiente?

L’avvento di nuove tecnologie informatiche e di nuovi mezzi di comunicazione ha portato, tra gli altri, l’effetto di riformare nella prassi le modalità di irrogazione del licenziamento.

Lo prevede la legge n.604 del 15 luglio 1966 a regolare i licenziamenti individuali, precisamente l’articolo 2 stabilisce che l’imprenditore deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.

Certo, nel lontano ’66 il legislatore non poteva immaginare l’era di internet, dove delle “App” come WhatsApp, SMS email, avrebbero preso il sopravento rispetto alla carta, allo scritto, al cosiddetto “nero su bianco”, alla raccomandata postale.

Di certo, forse dovevano dare maggiore attenzione a George Orwell che con il suo libro “1984” del 1948 ci avvertiva su come sarebbe diventata la società del futuro. Una inarrestabile decadenza del senso civico delle persone, del modo del lavoro e a quanto pare, dello “stile” di alcune imprese, dettate da un preciso disegno del potere mondiale di pochi il cui scopo principale è mantenere il controllo totale sulla società moderna e del futuro.

I licenziamenti “social” sono parte di questa evoluzione (forse è meglio definirla involuzione). La cronaca degli ultimi tempi è piena di casi di lavoratori licenziati attraverso la nota piattaforma di messaggistica, via sms tradizionale o tramite email, utilizzate soprattutto dalle multinazionali sempre più distaccate dalla vita reale ma utilizzate anche da imprese minori. Un nuovo modo di “comunicare” legittimato in più occasioni dai giudici che si sono espressi in merito con diverse sentenze.

Infatti, la normativa in materia in questo caso è molto generica, dovuto al fatto che la legge varata nel lontano 1966 a oggi presenta delle lacune e proprio per queste in qualche modo permette di rendere legittimo il licenziamento via WhatsApp perché trattasi di una forma scritta di comunicazione che conferma la ricezione da parte del destinatario, come stabilisce la legge che vieta il licenziamento a voce.

Certo è che con il licenziamento via WhatsApp o simili strumenti, seppure legittimi, solleva la questione etica che riguarda il comportamento del datore di lavoro e dell’impresa che rappresenta, che comunica in modo poco ortodosso e con una caduta di “stile” irrimediabile, il licenziamento.

Troppo facile, utilizzare metodi che nulla hanno a che fare rispetto alle conquiste ottenute in anni di lotte in favore ai diritti e doveri nel mondo del lavoro. Ma non solo, questi metodi non fanno che inasprire le tensioni già esistenti nel mondo del lavoro dovute alla precarietà e alle crisi economiche industriali acuite dalla pandemia.

Ora ci prova il legislatore, a frenare l’utilizzo sempre più crescente di questi mezzi poco ortodossi per questo argomento.

Infatti, è obbiettivo del Governo porre fine alla “carenza” legislativa esistente, provando a introdurre, dovrà essere il parlamento ad emanare un decreto già pronto, in aggiornamento alla normativa in materia.

Lo scopo è quello di impedire delocalizzazioni e licenziamenti facili obbligando le imprese ad avviare trattative con le istituzioni o i sindacati, pena sanzioni a carico delle imprese inadempienti, al fine di garantire la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo.

Speriamo che il nuovo provvedimento sia efficace perché intanto, l’attenzione si sposta verso le riunioni in video conferenza su piattaforme come “Zoom”, “Team” o similari, perché il licenziamento collettivo continua a correre sul web. Ne sanno qualcosa i dipendenti di una società USA che ha inviato una riunione su una nota piattaforma di video chiamata contemporaneamente a 900 dipendenti che si sono sentiti dire; “Benvenuti alla riunione, se siete in linea in questa chiamata, fate parte del gruppo sfortunato che sta per essere licenziato. Il vostro lavoro qui termina immediatamente…” cosa dire, almeno ci hanno messo la “faccia”…

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