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Rottami ferrosi, “tensione” tra produttori e riciclatori europei

Su oltre 100 milioni di tonnellate di rifiuti ferrosi riciclati dalle imprese UE, solo l’80% è assorbito dall’industria europea dell’acciaio.

Le materie prime rivestono un’importanza economica decisiva per la produzione e lo sviluppo industriale. L’Unione europea è fortemente dipendente dalle importazioni da altri paesi e la crisi Ucraina-Russia ha evidenziato quante sono le criticità in questo settore. La questione, delle materie prime è talmente importante che l’europarlamento recentemente ha votato una proposta di modifica al regolamento UE sulle spedizioni di rifiuti verso l’extra Europa.

Il rottame da ferro, importante per l’industria siderurgica, rientra in questo argomento e il rischio di una scarsità di approvvigionamento, metterebbe in gravi difficoltà l’intero sistema delle acciaierie europee.

Tuttavia, all’indomani del recente voto dell’europarlamento, sono i riciclatori europei a confermare come i volumi esportati fuori dai confini dell’Unione non rappresentino una minaccia per l’industria siderurgica del Vecchio Continente. Gli stessi, però, chiedono un cambio di passo nelle politiche di stimolo della domanda interna. Infatti, l’industria europea del riciclo dell’acciaio “rigenera” ogni anno, oltre 100 milioni di tonnellate di rifiuti ferrosi. Di questa quantità, in media solo per l’80% vengono utilizzati dalle acciaierie europee, mentre il restante 20% viene esportato.

Nel 2021 a fronte di una produzione di 152,6 milioni di tonnellate di acciaio sono stati rifusi 87,9 milioni di tonnellate di rottami ferrosi, mentre altri 19,5 milioni di tonnellate non assorbiti dalle imprese europee sono finiti fuori dai confini dell’UE.

Il principale paese importatore (14,7 milioni) che produce il 70% del proprio acciaio in forni ad arco elettrico alimentati a rottame è la Turchia, mentre per le acciaierie dell’UE il dato è oggi fermo al 57%. Tant’è che nello stesso anno, la siderurgia europea ha importato 128,9 milioni di tonnellate di minerale di ferro, acquistandole da paesi come il Brasile, dove l’estrazione mineraria contribuisce alla deforestazione e alla perdita di biodiversità, e quindi in controtendenza alle politiche ambientali sostenute nel vecchio continente.

Questo ritardo nel processo di decarbonizzazione dell’acciaio europeo è da ricercare nelle scelte politiche dei paesi produttori, sostenute da carenze strutturali nell’architettura dell’EU-ETS che non ha remunerato adeguatamente i risparmi di CO2 derivanti dalla sostituzione del minerale di ferro con il rottame.

Ricordiamo che l’European Union Emissions Trading Scheme EU ETS è il Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra e rappresenta il principale strumento dell’UE per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 nei principali settori industriali e nel comparto dell’aviazione.

Il ritardo degli investimenti necessari per trasformare l’industria dell’acciaio in Europa nell’aumentare le capacità di produzione con forno ad arco elettrico è in tutta Europa, in Italia è rappresentata dall’annosa e controversa questione ex-Ilva di Taranto.

Il tutto alla luce di una progressiva riduzione dei volumi di rottame rifuso, passati da 102,2 milioni di tonnellate all’anno nel 2005 a 87,9 milioni di tonnellate nel 2021, di pari passo con la contrazione della produzione di acciaio, passata nello stesso periodo da 182,3 milioni di tonnellate a 152 milioni di tonnellate.

Paradossalmente, rispetto a tutti i timori riguardanti l’approvvigionamento delle materie prime, la fornitura di rottame supera strutturalmente la domanda in Europa, al punto che non vi è alcun rischio, attualmente o in un futuro prevedibile, di scarsità di rifornimento tale da giustificare restrizioni al commercio. Né tanto meno troverebbe giustificazione nei numeri, l’attribuzione al rottame ferroso dello status di “materia prima critica”. Cosa che invece è accaduta in Italia, dove il decreto ‘Ucraina bis’, in vigore da marzo dello scorso anno, ha introdotto l’obbligo di notifica preventiva per i rottami esportati fuori dall’UE. Obbligo che il decreto “milleproroghe”, in via di approvazione definitiva, prolungherà fino al 31 dicembre di quest’anno, anche se limitandolo ai carichi superiori alle 250 tonnellate.

Certo è che il voto dell’europarlamento sulla proposta di riforma del regolamento europeo sull’export di “rifiuti” a riacceso lo scontro tra i produttori di acciaio e i riciclatori e commercianti di rottame.

L’obiettivo, di Bruxelles, è di contrastare l’esportazione e quindi trattenere rifiuti e materiali riciclati dentro i confini dell’Unione per spingere l’economia circolare e, nel caso del rottame ferroso, la transizione ecologica dell’industria siderurgica europea.

Non è una politica sbagliata. I progetti a basse emissioni di carbonio avranno bisogno di molti più rifiuti ferrosi già entro il 2030 e di quantità ancora maggiori entro il 2050 per produrre acciaio verde. Per questo motivo la decisione della Commissione e Parlamento, che chiedono misure ancora più severe per limitare i flussi in uscita dall’Unione, sono più che giustificate. Ma tale impostazione ha avviato un contrasto di vedute tra produttori e riciclatori. Se i primi vedono tutelare i loro interessi, i secondi avvistano tagli a fette, fruttuose, di mercato extra-Eu. In sostanza, il nodo centrale per i riciclatori, resta legato al prezzo che le acciaierie saranno disposte a riconoscere nel caso in cui non fosse più possibile accedere ai canali dell’export di rifiuti extra UE. Soprattutto quelli verso la Turchia, che con la sua domanda basta da sola ad assorbire quasi tutto il surplus di rottame dell’UE e che per questo influenza anche l’andamento del prezzo a tonnellata sul mercato dell’Unione.

Nei primi mesi del 2023, la forte richiesta delle acciaierie turche ha spinto verso livelli molto importanti i valori, fino a un massimo di 423 dollari la tonnellata. Se i riciclatori bussano alla porta delle acciaierie chiedendo garanzie sui prezzi, per l’industria siderurgica la priorità resta quella di contrastare forme di dumping ambientale.

Il sospetto dei riciclatori, è che dietro lo spettro del dumping ambientale si nasconda in realtà il tentativo della siderurgia europea di esercitare maggiore controllo sui prezzi del rottame scambiato nel Vecchio Continente. Con le vie dell’export chiuse, e alla luce del surplus che ne deriverebbe, a fissare il valore degli scambi sarebbero infatti quasi esclusivamente i produttori di acciaio, liberi una volta per tutte dalla concorrenza di Ankara che solo nel 2021 ha importato circa 15 milioni di tonnellate di rottame dall’Europa, un giro da 6-7 miliardi di Euro.

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