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Il periodo nero della siderurgia

L’acciaio, come sappiamo, è fondamentale per molti e diversi ambiti produttivi: l’automotive, l’elettrodomestico, le costruzioni,

“E’ un mondo che cambia” ripete una nota canzone e osservando  quanto sta accadendo in questi giorni anche i mercati e i flussi commerciali stanno cambiando. Cambiamenti che stanno generando squilibri economici accentuati anche dalla recente crisi bellica Russia-Ucraina. La siderurgia è uno dei tanti settori industriali che sta vivendo un periodo nero e che si teme non sarà per niente breve. E’ soprattutto la siderurgia italiana a patire di più la situazione a causa dei  costi dell’energia elettrica, aumentata di 12 volte rispetto al valore di due anni fa, del gas e delle materie prime. Aumenti che incidono notevolmente sul prezzo finale dei prodotti e che innescano inevitabilmente il calo della domanda di acciaio che si avvia verso uno stop del mercato. Settori come le costruzioni, i lavori pubblici, l’automotive hanno rallentato se non fermato le attività in attesa di tempi migliori.

Questa condizione sta generando una crescente incertezza tra le imprese, aggravata dalla evidente incapacità di risposta del sistema Paese. Tale condizione è dovuta a scellerate e ottuse scelte di politica industriale ed energetica fatte negli anni passati. L’introduzione delle sanzioni alla Russia, applicate in queste ultime settimane, ha riacceso il problema di approvvigionamento energetico nel nostro Paese. In questi ultimi giorni  abbiamo scoperto che i tempi per avere una completa transizione verso le energie alternative è troppo lunga e il solare e l’eolico, oggi utilizzabili, sono insufficienti per il nostro sistema industriale.

È curioso come oggi la parola rigassificatore sia utilizzata da tutta la politica, anche da chi ostacolò in passato questi impianti, come risoluzione immediata ai problemi energetici del nostro Paese. Ricordiamo benissimo come la realizzazione di questa tipologia di infrastrutture sia stata bloccata a causa dell’opposizione di alcune formazioni politiche e movimenti di protesta sensibili alle pressioni di quei fornitori che non avevano nessun interesse alla realizzazione, da parte dell’Italia, di questi impianti.

Ricordiamo benissimo come alcune lobby interne,  che puntavano e puntano tutt’ora su sistemi diversi, abbiano ostacolato la realizzazione di tutto ciò.

Le stesse lobby, con il coinvolgimento di alcuni concorrenti europei, boicottarono la riconversione dell’impianto industriale di Taranto verso il piano green di Enrico Bondi.. Il noto dirigente d’azienda, che risanò la Montedison e la Parmalat, fu nominato anni fa Commissario straordinario per il risanamento dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto. Il piano prevedeva la trasformazione del ciclo dell’acciaieria tarantina, dal carbone fossile al gas naturale. Il costo del progetto, stimato circa 3 miliardi di euro, era nettamente inferiore rispetto a quanto speso dallo Stato fino ad ora con il suo impegno nell’azienda. Se il progetto di Bondi fosse stato realizzato, sarebbero state azzerate le emissioni di idrocarburi policiclici, come quelle di diossina, fortemente ridotte  quelle di anidride carbonica, di anidride solforosa e di ossido di azoto. Tutto ciò non avvenne grazie all’azione di queste “pressioni” che non hanno permesso la realizzazione del piano ottenendo la rimozione di Enrico Bondi.

Questa è stata un’ azione devastante sull’Ilva rispetto all’originario  piano green.

Una triste pagina di storia di politica economica e industriale del nostro Paese, di cui ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.

Certamente avere dei rigassificatori oggi non comporterebbe la totale indipendenza dall’approvvigionamento russo. Il costo del gas da rigassificatore è comunque più alto di quello proveniente dal gasdotto poichè vi sono sia costi di trasporto, attraverso le navi  metaniere che costi di stoccaggio per la compressione e decompressione.

Tuttavia avere questi impianti in caso di crisi come quella di oggi, ci eviterebbe il fenomeno dell’impazzimento dei prezzi, che per un Paese manifatturiero come l’Italia non è poco.

Chissà, forse alla luce dei fatti riusciremo a liberarci, per il nostro bene e quello del sistema Italia di tutti questi soggetti? Speriamo!!!

Un altro problema riguarda l’approvvigionamento di minerali per l’industria siderurgica. Sarà necessario percorrere strade che conducano a filiere di approvvigionamento diverse da quelle che ci collegano oggi alla Russia e Ucraina. Il superamento del conflitto e dei conseguenziali “traumi” avranno tempi lunghi. Pertanto sarà necessario allacciare rapporti commerciali di forniture minerarie con altre nazioni come l’Australia, il Sudafrica, l’Algeria, il Brasile: Paesi terribilmente lontani che impegneremmo mesi per modificare le catene logistiche.

Per una acciaieria che utilizza il nichel come metallo di riferimento, il problema è ancora più complesso. Questo elemento, fondamentale per la realizzazione dell’acciaio inossidabile, oltre che dalla Russia è prodotto da pochi Paesi ( Filippine, Indonesia, Canada) che sono attualmente legati soprattutto alle manifatture asiatiche.

L’acciaio, come sappiamo, è fondamentale per molti e diversi ambiti produttivi: l’automotive, l’elettrodomestico, le costruzioni, i mezzi agricoli e movimento terra, la cantieristica navale, il packaging. Tutti questi settori, già colpiti dal caro energia, vedono aggravare la loro posizione economica con l’aumento del costo dell’acciaio e della sua diminuzione di produzione. Una crisi nella crisi che sembra non avere fine e con una Europa che non trova un percorso unitario per ritrovare il bandolo della matassa sempre più intricata.

Una cosa è certa: è necessaria un’ azione di politica di approvvigionamento energetico e minerario unitario dell’UE altrimenti il default politico ed economico Europeo sarà irreversibile.

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